Francesco Pungitore
Francesco Pungitore

La comunicazione è una cosa seria

di Francesco Pungitore

 

La comunicazione è una cosa seria. Lo dico e lo ripeto a me stesso ma, anche e soprattutto, mi rivolgo a chi deve farci i conti quotidianamente nella propria azienda, nella professione, in politica. E non è una frase così scontata come banalmente potrebbe sembrare, in apparenza. Anzi. Una buona comunicazione, ad esempio, governa efficacemente i rapporti all'interno di una qualsivoglia organizzazione complessa, ma ne delinea anche la corretta proiezione all'esterno. Su questo, penso, siamo tutti d'accordo. Fissato questo punto fermo, andiamo, però, ad analizzare cosa sta accadendo, oggi, nell'oceano vasto e complesso dei media (anche social) con cui siamo chiamati ad interagire per rendere veramente efficace il nostro comunicare, che altro non è se non l'arte del parlare e dello scrivere.

Comunicazione e social media

Un primo pregiudizio da confutare è proprio quello relativo al presunto “condizionamento peggiorativo” che le nuove tecnologie avrebbero introdotto nelle relazioni umane e, giocoforza, anche nell'uso dei mezzi di comunicazione. Partiamo da un presupposto molto chiaro: le tecnologie non sono che strumenti, ideati per migliorare la qualità della nostra vita, non certo per peggiorarla. Altro discorso è quello relativo all'uso che se ne fa e, in modo particolare, al cattivo uso, determinato, a mio avviso, solo e soltanto da una scarsa “alfabetizzazione” generale e di base. Molto spesso, insomma, ci mancano i “fondamentali”, ovvero la conoscenza del classico manuale d'istruzioni. Ma tutto questo, peraltro, non cambia nulla rispetto al concetto iniziale: la comunicazione è e rimane una cosa seria, a prescindere dal fatto che essa, oggi, non prediliga più soltanto i binari preferenziali e classici della carta stampata o della televisione, ma si disperda sulle tante piattaforme informatiche che sfociano nel grande mare di internet. Certo, lo scenario di riferimento è cambiato. E' ovvio. Occorre acquisire competenze di “navigazione” prima non necessarie. E su questo siamo ancora d'accordo. Però, cos'è cambiato rispetto alle domande originarie, quasi primitive, che formavano il vocabolario del bravo comunicatore d'un tempo? La risposta è: nulla! Tutto è cambiato, ma nulla è cambiato.

Content is king!

C'è una frase un po' abusata che, in ogni caso, spiega bene questo passaggio: “Content is king”. E' proprio così. La verità è che, sia che parliamo di web che di giornali stampati in rotativa, la qualità del contenuto è e rimane la cosa più importante, il dato sostanziale. Anche oggi, come cinquanta anni fa, vince il lavoro di qualità, sia esso pubblicato su Facebook o in un blog, su un libro o in televisione. E la qualità di cui ragioniamo ha esattamente due fuochi centrali: la buona conoscenza dell'argomento trattato e la definizione precisa del pubblico di riferimento.

Da Platone a... Kotler

Sarà un retaggio scolastico, ma non posso fare a meno di pensare che nel lontano 400 a. C. gran parte dei problemi di comunicazione che oggi ci appassionano e animano i nostri dibattiti, molto spesso ripieni di pedanti e inutili citazioni in inglese, fossero già stati dipanati dal vertice più alto della filosofia greca: Platone. Una buona lettura del “Gorgia” e del “Fedro” potrebbe risultare molto utile, lì dove, ad esempio, si enunciano le regole dello scrivere in modo corretto, ovvero l'essenza dell'arte del comunicare. Non mi riferisco qui alle tecniche, allo stile, alla struttura e all'articolazione che Platone categorizza, assegnando ruoli precisi agli elementi di base di un testo, quanto piuttosto a due concetti molto importanti racchiusi in altrettante frasi del grande filosofo. La prima afferma: “Se uno vuole trasmettere discorsi fatti con arte a qualcuno, dovrà dimostrare con precisione l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i suoi discorsi: e questo sarà l'anima” [Fedro, 270 E]. In altre parole, Platone dice: occorre che chi parla e scrive conosca l'anima degli uomini a cui si rivolge. Inoltre, dovrà rendersi conto che “l'anima è multiforme e quindi prendere atto delle varie forme in cui l'anima si articola” [Giovanni Reale - Storia della filosofia greca e romana - Bompiani - pag. 333]. La seconda frase di Platone, sempre tratta dal Fedro spiega:  “Bisogna che uno sappia il vero di ciascuna delle cose sulle quali parla e scrive, e sia in grado di definire ogni cosa in se stessa” [Fedro, 277 B-C]. Questi sono esattamente i due fuochi precedentemente citati e le basi della comunicazione più moderna che ci sia, che Philip Kotler scandisce nel suo best-seller mondiale “Marketing 4.0” [Hoepli]. Platone spiega che per comunicare efficacemente occorre, innanzitutto, conoscere l'essenza della cosa di cui si parla (concetto che richiama l'idea della qualità del contenuto). Inoltre, occorre conoscere anche le “anime” a cui ci si rivolge e cioè le persone in funzione delle quali vengono “costruiti” i discorsi. Quanto e cosa c'è di diverso rispetto alla lezione di Kotler sulla transizione dall'awareness all'advocacy?

 

Letture consigliate: 
Enrico Cogno “Il talento del comunicatore” - Franco Angeli

Giulio Scaccia “Centrare il bersaglio” - CDG
Alberto Puliafito “Dal giornalismo al Digital Content Management” - CDG
Philip Kotler “Dal tradizionale al digitale. Marketing 4.0” - Hoepli

brevi note di filosofia pratica

Come può, la filosofia, diventare pratica? Innanzitutto con la sua azione comunicativa. La filosofia, quella vera, radicata nelle sue origini più antiche, apre gli orizzonti della mente, problematizza e risolve, riannoda e scioglie. In una parola sola: libera. Non parliamo qui, chiaramente, della filosofia fredda e astratta imparata a scuola. Non parliamo della filosofia esercitata dai funzionari del pensiero seduti in cattedra e ingabbiati nel loro ruolo cadaverico di amministratori delle teorie. La filosofia che davvero ci interessa è quella che, nelle età più remote, richiamava la simbolica forma di una chiave: una chiave che apre tutte le porte, perché mostra senza filtri tutti i limiti del nostro pensare ovvio e abituale. Non reprime le domande, anzi mette in discussione proprio tutto ciò che è ovvio. Questa filosofia delle origini, che è anche filosofia del presente e del futuro, mette a nudo e combatte tutto ciò toglie colore alla nostra esistenza, tutto ciò che spegne la nostra creatività, tutto ciò che opprime i nostri impulsi vitali. Quanti pensano, oggi, di vivere vite senza via d'uscita? Quanti si sentono oppressi, frustrati? Sono destini bloccati, nei cui confronti si può dispiegare positivamente l'azione liberatrice della filosofia. La filosofia riapre le possibilità dell'esistenza, indica nuove rotte, ridona speranza. Perché sa andare oltre.

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