Francesco Pungitore
Francesco Pungitore

Musica e Filosofia, tra scienza e sapienza

La relazione introduttiva di Francesco Pungitore

Simeri Mare (CZ) 24.08.2014 - Un ringraziamento preliminare è d'obbligo e va indirizzato a tutti voi che ci onorate, così numerosi questa sera, della vostra presenza. Grazie anche alla bella struttura che ci ospita e all'organizzazione del convegno che fa capo al progetto culturale “Naturium” ideato e promosso da Giovanni Sgrò. Oggi l'amico antroposofo Fabio Antonio Apicella presenterà il suo originale metodo di meditazione musicale “Akroasis”, frutto di anni di ricerche e sperimentazioni personali. Difficilmente troverete in qualche libro qualcosa di simile. Forse degli spunti, dei lampi, compaiono negli scritti di Steiner. Ma nulla di definitivo e compiuto come, invece, Apicella ha voluto e saputo concretizzare. E siccome, come dice Frank Zappa in una famosa intervista, si può parlare di musica finché si vuole ma per apprezzarla e capirla veramente serve solo l'ascolto, ebbene la conferenza sarà accompagnata da alcune esecuzioni dal vivo: Annalisa Critelli (pianoforte), Roberta Zirilli (flauto), Marco Cantafio (percussioni) e Serena Mustari (violinista). Musica, dunque. Musica e antroposofia. Musica e filosofia. Arthur Schopenhauer diceva ai primi dell'800 che laddove si riuscisse a comprendere realmente la musica nella sua essenza più profonda allora si otterrebbe anche una soddisfacente spiegazione del mondo. Ebbene, ciò che Apicella ci propone è proprio l'ascolto vivente della musica come strumento di conoscenza superiore. Superiore, direi, è un termine utilizzato non a caso, visto che, tradizionalmente, musica deriva da Muse, le dee che nell'antico mondo greco presiedevano alle arti e alle scienze. Scienze magiche, molto spesso, incantatorie e purificatorie. Sempre Schopenhauer ci viene in soccorso ribadendo che la musica, più di ogni altra arte, ha il potere di liberarci dal mondo. Secondo E. T. A. Hoffmann la musica schiude all'uomo un mondo che non ha nulla in comune con quello esteriore dei sensi. Per il compositore Luciano Berio, la musica prende forma in zone e livelli diversi della coscienza e della realtà. Cos'è, dunque, la musica? E' conoscenza? Conoscenza di che cosa? Di qualcosa di insondabile per gli strumenti comuni della ragione umana, forse, se è vero che Ernst Bloch la consegnava nella pura dimensione del mistero. Ci interroghiamo sul rapporto tra musica e filosofia. E lo facciamo tentando un ulteriore scarto in avanti rispetto ai nostri precedenti incontri. Abbiamo già detto del ruolo fondamentale della musica nella filosofia antica e, in particolare, nell'ambito del complesso fenomeno del pitagorismo. Nell'ambito della filosofia pitagorica, alla musica è stato riservato un posto speciale. Una attenzione ereditata da Platone per arrivare fino ad Aristotele
E' strano, ma non troppo, considerare quanto, invece, la filosofia moderna si occupi poco della musica, addirittura con indifferenza. Schopenhauer, Kierkegaard e Nietzsche sono una eccezione, ma del resto stiamo parlando di tre eretici odiati e respinti come “non filosofi” dalle cerchie professorali e universitarie. Un certo recupero si ha con Husserl, Heidegger, Adorno, Bloch. Ma ciò non basta per tornare alle raffinate ricerche degli antichi Greci.
Perché c'è questa frattura tra filosofia antica e moderna? Probabilmente perché stiamo parlando di due mondi completamente diversi, due mondi nei quali il termine “filosofia” assume connotati lontanissimi l'uno dall'altro. 
La filosofia moderna è essenzialmente speculazione astratta, è un sapere erudito che si fa strumento della ragione, della ragione umana. Al contrario, la filosofia antica era amore per la saggezza, un amore basato non sulla ragione umana discorsiva ma sulla visione diretta dell'occhio spirituale dell'anima: mi riferisco al noein, all'intuizione superiore, alla comprensione della realtà attraverso una conoscenza viva e vivificante. L'amore per la saggezza non consisteva in pensieri logici e parole razionali, bensì in uno stato molto più profondo del conoscere e dell'essere. Tanto per tracciare un parallelismo, non potremmo mai leggere un Eraclito, o un Parmenide, o un Empedocle così come si legge Hegel. Il loro argomentare si sviluppa, evidentemente, su livelli completamente differenti.
Per gli antichi, musica e filosofia si affiancano come forme di suprema conoscenza del mondo. Entrambe mostrano le connessioni che costituiscono il mondo fenomenico nelle sue diverse articolazioni. Dunque, la musica così considerata non è né oggetto né strumento del sapere filosofico, ma è essa stessa filosofia: è una sapienza suprema, che tutto risolve in sé. Nella Vita pitagorica, Giamblico scrive che uno degli scopi della scuola di Crotone era la conoscenza delle armonie musicali di cui si compongono le divine melodie dei beati. Una conoscenza che consente di attingere alla sapienza degli dei. Secondo Cicerone, molto più avanti nei secoli, queste armonie aprono le porte del cielo.
Ma di quali armonie stiamo parlando? Le armonie cosmiche? O le armonie dell'anima? In verità è la stessa cosa. Esiste, secondo questa concezione, uno schema musicale capace di rappresentare la sostanza divina della creazione su tutti i piani: spirituale, divino, cosmico, animico. Lo dice chiaramente Platone nel Timeo. Il processo costitutivo dell'anima del mondo è musicale, procede secondo le leggi dell'armonia musicale. L'ordinamento dell'universo, in buona, sostanza, si può tradurre in moti vibratori di base che non sono altro che gli intervalli consonanti fondamentali: l'ottava, la quinta, la quarta e la doppia ottava.
Di quale filosofia e di quale musica stiamo parlando, allora? Di due forme di sapere orientate a preparare l'uomo a compiere il suo sforzo più alto: elevarsi dalla terra, liberarsi dalle catene della materia, autodivinizzarsi e farsi quanto più è possibile prossimi ai Celesti. Filosofia e musica, così concepite, hanno entrambe una straordinaria potenza sacrale. Nulla a che vedere con il pensiero logico-razionale della moderna filosofia accademica né, mi sia consentito, con il “rumore” che oggi spesso chiamiamo musica.
Ma era una concezione del tutto unica e originale quella degli antichi Greci? Direi proprio di no. Nella cultura filosofica dell'India classica, la musica è  creatrice: è lo strumento di cui Brahma si serve per trarre il mondo dalla non esistenza. Questa musica delle origini ha in sé la potenzialità della parola assoluta, che però non è ancora linguaggio comunicabile. Questa musica cosmica è l'universo nella sua fase di immobile eternità prima del tempo. Dalle nozze del suono e del tempo nasce la musica degli uomini, scandita, diffusa sulla terra e misurabile nella storia. 
Nella Maitráyana Upanishad (VI, 3) è scritto: in principio esiste soltanto un buio universale pieno di suono, e questo suono primordiale è il più aperto, chiaro e diffuso. Perciò è condensato nella vocale A. Una certa materia, ancora fluida e nebulosa, comincia a condensarsi, ad essere "visibile"; la sua visibilità paga un prezzo, ed è l'oscurarsi del suono, il quale diviene più cupo e meno brillante. La tradizione induista lo connota con U. Nella terza e ultima fase della creazione, il mondo si fa solido, la luce invade lo spazio, e all'inverso il suono si spegne, riducendosi a un brusìo: M. Così il mondo è creato. Le tre lettere AUM formano una sillaba sacra, che nella tradizione, contraendo le due vocali, diviene OM. Nel diagramma OM è la sintesi dell'universo nato dalla musica.
Anche nella civiltà dell'antico Egitto, il mondo è creato musicalmente. Mi rifaccio qui agli studi di Quirino Principe per ricordare che la creazione è operata da un dio mediante una risata intonata su sette note musicali: questo complesso mito filosofico-matematico viene, peraltro, costantemente ripetuto nel Libro dei Morti. Dalle sette risate nascono altrettante realtà: la terra, il destino, la giustizia, l'anima, il giorno, la notte, l'intelletto. “Vedendo tutto ciò, il dio abbassando il suo sguardo verso la terra proferì tre note musicali: IAO. Allora il dio che è padre di tutte le cose nacque dall'eco di quei tre suoni”. 
Cos'è, allora, questa musica degli antichi? Come la dobbiamo intendere? Ci può tornare utile ciò che intendevano i pitagorici per suono. Il postulato dell'acustica pitagorica è che il suono è vibrazione, è un moto vibratorio. 
Non può non venire in mente, a questo punto, la fisica moderna e, in particolare, la fisica a partire da Einstein in poi. Nel 1905 Einstein formula la teoria della relatività, in base alla quale la materia viene ad essere considerata nient'altro che una forma di energia. Negli anni seguenti, in particolare con Planck e Bohr, si sviluppa la meccanica quantistica, orientata a studiare il funzionamento di sistemi fisici piccoli o piccolissimi come l'atomo e il suo nucleo. Su questa scia due scienziati, De Broglie e Schroedinger, arrivano a comprendere la reale natura degli elettroni: non sono particelle ma onde che vibrano in certi modi definiti. Questa vibrazione è rappresentabile in matematica con la cosiddetta funzione d'onda. Ma allora, dov'è finita la materia, la dura materia della fisica classica? La fisica contemporanea, non quella che studiamo al Liceo ma quella che viene sviluppata nei laboratori di ricerca più avanzati, ci dice che a livello subatomico esistono solo delle onde. Esiste, meglio, un infinito campo di onde che permea lo spazio vuoto. Ma è meraviglioso constatare come questo campo esista dappertutto, unificato. Una rete primordiale di energia che collega tutti e tutto nell'universo. Tutta l'essenza della manifestazione fenomenica non è altro che una vibrazione del vuoto quantistico, una vibrazione quantizzata nella struttura dello spazio-tempo. 
Con l'ardimento dei filosofi noi ci spingiamo ancora avanti e ci chiediamo: la  matrice del tutto ci parla, forse, attraverso il linguaggio originario del suono vibratorio creatore? Cos'ha, in effetti, di diverso questa equivalenza “creazione = vibrazione = suono” rispetto all'indagine degli antichi? L'universo, la creazione, si sveleranno a noi con la chiave della musica? 
Chiudo questo breve viaggio tra filosofia, scienza e sapienza ricordando le parole di un grande saggio, Paramhansa Yogananda. Per chi pratica Yoga o ha anche semplici infarinature d'Oriente, un nome che non ha bisogno di presentazioni. A proposito del suono e della creazione, Paramhansa Yogananda scrive nel paragrafo intitolato “Sogni di Dio” del suo libro “Sussurri dall'Eternità”: “Lo spirito era invisibile, ed esisteva da solo nella dimora di tutto lo spazio. Con il flauto suonava a Se stesso il canto sempre nuovo e avvincente della perfetta, beatifica beatitudine. Mentre cantava con la vice dell'eternità, si domandò se qualcun altro, a eccezione di Se stesso, stesse ascoltando la sua canzone. Con suo grande stupore, scoprì che Egli stesso era il canto cosmico, e anche l'atto del cantare. Proprio mentre pensava ciò, ecco! Diventò due: Spirito e Natura”.

 

 

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