Una riflessione sulla questione meridionale, non quella studiata sui libri di storia, ma quella attuale.
Il Sud che si spopola, il Sud che vede soccombere quei tanti che scappano via come ultima loro forma di protesta morale, di lotta.
A gettare uno sguardo sulle vicende meridionali è una giovane aspirante giornalista piemontese che raccoglie storie e testimonianze nei suoi incontri con la gente, in una sorta di personalissimo diario di un viaggio a Sud.
Il testo è crudo, ironico, provocatorio. Sgorga, tra le righe, l'amarezza di un amore tradito. Ad aver deluso i sentimenti dell'autore è il “suo” Sud, una terra «in balia di criminali, corrotti, ladri, faccendieri e razziatori». Personaggi dipinti con bruciante sarcasmo, nelle loro caratteristiche peculiari, chiaramente ispirate a fatti reali. Tant'è che la narrazione si mescola alla cronaca, con citazioni di articoli e indagini statistiche, per dimostrare che il Sud è stato abbandonato e che a qualcuno conviene questa agonia, che sia lasciato così a morire. Lo hanno ben compreso i tanti che se ne vanno. L'esodo - così lo chiama Pungitore - che sta spopolando intere regioni. Da qui a trent'anni saranno cinque milioni in meno gli abitanti del Mezzogiorno d'Italia. Ma quali le cause di un fenomeno tanto evidente quanto, apparentemente, senza soluzione? A chi attribuire la responsabilità di questo disastro senza precedenti nella storia d'Italia? Il romanzo mette insieme tanti aspetti del problema: la mafia, innanzitutto, che ha occupato tutti i posti di potere e non ha altri interessi se non i propri traffici; la malapolitica gestita da parvenu mediocri, spesso e volentieri al soldo della criminalità; la malaburocrazia corrotta o incapace che fa da sponda alle prime due; infine, gli affaristi che sguazzano nel torbido a caccia di denaro facile. E poi, non ultimo, uno Stato che si è ritirato in buon ordine, lasciando i propri rappresentanti più coraggiosi sul territorio senza difesa.
L'irrisolto enigma archeologico dei megaliti di Nardodipace fa da sfondo al primo romanzo fantasy del giornalista Francesco Pungitore. Il suo libro, intitolato “Il mago di Nardodipace”, è stato presentato a Soverato su iniziativa del progetto culturale “Naturium” nella bella cornice del “Glauco Beach Club”. Un notevole riscontro di pubblico ha accompagnato l'evento, aperto dall'esibizione musicale del bravo violinista Gabriel Giannotti. Ha introdotto i lavori la giornalista e scrittrice Daniela Rabia, molto attenta nel delineare i contenuti di un romanzo avvincente e di facile lettura ma di altrettanto parallela complessità tematica. Lo ha spiegato bene lo storico Ulderico Nisticò nella sua articolata relazione, nella quale ha richiamato miti e leggende, suggestioni antiche e moderne, alchimia e filosofia, iniziazioni e misteri. Dopo un ulteriore intermezzo musicale di Gabriel Giannotti, l'Alfiere della Repubblica Bernard Dika ha centrato il suo intervento sull'autore e sul suo impegno per il riscatto della Calabria attraverso una narrazione nuova e una rilettura originale dei valori identitari di questa regione. Chiamato a trarre le conclusioni, Francesco Pungitore ha svelato ai presenti tre chiavi interpretative per decifrare gli stimoli che hanno accompagnato la stesura del romanzo. Innanzitutto, il libro può definirsi “un manuale di storytelling” laddove ripropone il cliché letterario classico del cosiddetto “viaggio dell'eroe”. Inoltre, “Il mago di Nardodipace” trae la sua fonte d'ispirazione filosofica dallo studio degli Orfici e dei Pitagorici. “Calabresi di 2.500 anni fa - ha commentato l'autore - che credevano nell'immortalità dell'anima e nella metempsicosi”. Ecco l'idea di assegnare proprio al protagonista del romanzo quella “visione del mondo e della vita oltre la vita”, resa celebre da Platone con il famoso Mito di Er nel Libro X della Repubblica. Infine, la collocazione geografica a Nardodipace. Un luogo dalla forte connotazione simbolica “con i suoi megaliti che diventano Colonne d'Ercole, confine di ciò che non ha confine, varco verso l'infinito che si apre dietro la siepe”. Nardodipace da “emblema dell'alterità più lontana” si trasforma in “specchio rivelatore di speranza, eco di un passato che non passa” che può e deve servirci per “vivificare il presente”. Una riscoperta in positivo della nostra Calabria più antica e remota. Radici e identità da riattualizzare, sotto forma di valori ma anche di scenari fantastici. Mete che riconciliano con la nostra storia, con ciò che siamo. [9 giugno 2019]