Verso chi rivolge la sua attenzione il consulente filosofico? Cominciamo a chiarire chi è o, meglio, chi non è il consulente filosofico. Non è uno psicologo, non è uno psichiatra, non è un assistente sociale, non è un consulente spirituale. Il consulente filosofico non prescrive antidepressivi né confeziona terapie. Il suo campo di competenza è, in buona sostanza, il dialogo, non la diagnosi. Un dialogo capace di fare emergere l'intera gamma di complessità che caratterizza la vita dell'uomo. Un dialogo che muove dalle domande più note della tradizione classica: che senso ha la vita, perché sono qui, cos'è il bene, qual è la cosa giusta da fare? Domande filosofiche, non patologie da medicalizzare. Qualcuno ha detto, giustamente, che la consulenza filosofica è una terapia per sani. Il concetto, in effetti, è proprio quello. La filosofia – come ha rilevato Lou Marinoff - può fornire strumenti utili da usare nella vita di ogni giorno, per affrontare le questioni importanti della nostra esistenza. Non la filosofia accademica, ovviamente, ma la sapienza rigogliosa della filosofia delle origini. Le crisi di senso e di significato, i dilemmi esistenziali, i conflitti etici sono, potremmo dire, pane filosofico quotidiano, non malattie da curare. Siamo tutti d'accordo, del resto, sul fatto che i problemi della vita (e la vita stessa) non si possano tutti ricondurre a malattie mentali, sindromi, turbe, traumi, nevrosi e psicosi. C'è un modo alternativo, filosofico, per focalizzare le situazioni, risolverle attraverso una visione olistica-unitaria delle diverse componenti in gioco e procedere oltre. Il consulente filosofico agisce, dunque, su questo terreno di competenza. E' un professionista della filosofia che si occupa dei grandi interrogativi dell'esistenza. E, con il suo lavoro, aiuta gli altri.