La filosofia deve affrancarsi dalla sua dimensione di pura e sterile disciplina accademica per tornare ad essere ciò che era in origine: saggezza, ovvero filosofia sapienziale. Un messaggio che racchiude in sé una forza dirompente, quello che ci consegna Monica Cavallé nel suo libro “La saggezza ritrovata – La filosofia come terapia”, edito da Mursia (2013). La narrazione della filosofa spagnola segue un fluire fresco, brillante, vivo, mai banale, che coinvolge il lettore in un percorso di vera e propria autoliberazione interiore. Del resto, è proprio questa la meta indicata da Monica Cavallé: riappropriarsi della filosofia come cammino per conseguire la piena autorealizzazione. Il che include la conquista di quella pienezza di significato che deriva da una conoscenza profonda di se stessi e del nostro posto nell'universo. La filosofia descritta da Monica Cavallé non è, dunque, un mero sistema teorico. Al contrario, è una conoscenza indissociabile dall'esperienza. E' arte della vita, i cui frutti sono la libertà interiore e il raggiungimento di una felicità stabile e duratura, di un nuovo stato del conoscere e dell'essere. Questa filosofia trasforma, libera, risana. E' rimedio per i patimenti dell'anima. E' la nostra eredità ed è il nostro destino. E' una filosofia, peraltro, che richiede uno sforzo: lo sforzo di dare costante profondità al nostro sguardo interiore. Una condizione necessaria per esprimere il richiamato potenziale di trasformazione e liberazione. Dunque, non è una strada immediatamente facile da seguire perché questo tipo di conoscenza riguarda direttamente la nostra identità, ci riporta al contatto nudo con la nostra intima essenza. E' un cammino dopo il quale non saremo più gli stessi. Nulla a che vedere, pertanto, con la filosofia da salotto, con gli accademismi e i giochi mentali degli storici della filosofia. Quella efficacemente descritta da Monica Cavallé è la vera filosofia, ovvero è la filosofia della verità: la filosofia della trasformazione permanente del nostro essere. E' la filosofia che conduce all'autentica esperienza del senso profondo dell'esistenza. E' la filosofia che schiude la nostra interiorità alla vita, ci porta ad accettare la vita in se stessa, come ciò che non ha significato ma è, essa stessa, il significato.
Tutti, prima o poi nella vita, abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada. E' accaduto in un momento preciso, con la forza di una annunciazione che ci ha fatto dire: ecco chi sono! Questo libro - “Il codice dell'anima” di James Hillman - ha per argomento proprio quell'annuncio. L'idea di fondo trasmessa dall'autore è che in quegli enigmatici momenti noi vediamo e ritroviamo la nostra immagine innata, quell'immagine che noi rechiamo interiormente impressa fin dall'inizio dei nostri giorni, fonte di un preciso carattere individuale dotato di taluni tratti indelebili. Ciò implica che la nostra vita non è determinata da effetti “esterni” (dalla nostra infanzia, dai nostri traumi, dalle influenze sociali ed ereditarie). Noi esistiamo al mondo, in quanto persone uniche e irripetibili, con una trama di fondo della nostra storia già predeterminata, con una vocazione ben definita. L'idea non è nuova, anzi è molto antica. E' l'idea che assume la venuta al mondo di ciascuna persona come una chiamata. In base a questa chiamata, prima della nascita, l'anima di ciascuno di noi sceglie l'immagine o il disegno che poi vivrà sulla terra, ricevendo un compagno come guida. Questo compagno è il daimon, il genius degli antichi romani, l'angelo custode dei moderni cristiani. Il daimon ci ricorda, quando è necessario, il contenuto della nostra immagine innata, gli elementi del disegno che abbiamo prescelto. E' lui, dunque, il solido portatore del nostro destino, perché lui non ci abbandona mai. In pratica, noi ci siamo scelti già prima di nascere i genitori, il luogo e le situazioni di vita più adatti alla nostra anima e corrispondenti alla sua necessità. Il daimon, però, non è una guida morale, né va confuso con la voce della coscienza. La sua funzione è quella di una sorta di promemoria: ci motiva, ci protegge, solleva l'inquietudine nel nostro cuore quando registra uno smarrimento nel senso generale della nostra vita rispetto alla vocazione che abbiamo scelto, ci spinge a rimanere fedeli alla nostra immagine innata. In pratica, tutti siamo venuti al mondo con una immagine che ci definisce fin dal principio. Noi non siamo tabula rasa. Anzi, il nucleo sostanziale della nostra vita terrena è già tutto lì, dentro di noi, fin dalla nascita. Ciascuno di noi incarna fin dal principio l'idea di se stesso e questa forma, questa idea, non tollera mai eccessive divagazioni. Ciascuna vita è formata dalla propria immagine unica e irripetibile, un'immagine che ci chiama inesorabilmente a un destino. Per seguire quel destino, dobbiamo scendere nel mondo e contaminarci con esso. Siamo alberi al contrario, con le radici nel cielo, e cresciamo discendendo verso le cose umane. Ma la discesa nel mondo può essere dolorosa e avere un alto prezzo. Spesso, pur sentendoci incalzati dalla vocazione, non riusciamo a sfuggire alle difficoltà della nostra discesa nell'umano. Spesso, non riusciamo a crescere del tutto, cioè a discendere pienamente nella vita, e veniamo sopraffatta dalla nostalgia. Vorremmo tornare a casa. Dove? Non sappiamo... è un luogo di cui parlano solo i miti e le cosmogonie, che sfugge alla ragione. E' la nostalgia per ciò che non è di questo mondo. E' in quei momenti, quando il daimon si sente disatteso, che avvertiamo il richiamo della nostra immagine del cuore, dell'anima intima racchiusa in ciascuno di noi, che ci rivela chi più autenticamente siamo. Il daimon ci parla, ci indica la nostra unicità ed eccezionalità, in vari modi: è quel senso di urgenza indefinita che ci coglie all'improvviso, che ci turba; è quel battito del cuore che esplode in un eccesso di rabbia; è quell'eccitazione che ci chiama; è quella visione, a tratti confusa, che ci dà l'idea di un annuncio, di una vocazione. La nostra vocazione pretende la libertà assoluta di perseguire la sua strada, perché in quella meta c'è la sua felicità, c'è il senso del nostro destino e lo scopo del nostro disegno.
Prezioso volume delle edizioni Mediterranee, ristampato nel 2011. Amadeus Voldben (pseudonimo di Amedeo Rotondi) analizza i prodigi del pensiero positivo partendo da una prima considerazione di fondo: la scienza moderna ignora la vera dimensione dell'uomo. Noi non siamo solo materia, ma corpo, anima e spirito. Siamo coscienza e scintilla divina. Ed è proprio la nostra dimensione animica e spirituale che ci consente di operare nell'infinito, dove non esistono limiti di tempo e di spazio. Anzi, l'uomo è essenzialmente spirito, scintilla divina, rivestito da un complesso animico, rivestito a sua volta da un corpo fisico. L'ignoranza dottorale e la presunzione scientista non vedono tutto questo. Non vedono che il pensiero è la più sottile vibrazione dello spirito. Non vedono che il pensiero è una forza, perché è manifestazione divina nell'uomo. All'origine di tutto è sempre il pensiero che ha creato tutto. L'uomo stesso è un pensiero di Dio. Tutto è pensiero, disceso nelle forme della materia. Il pensiero è la più potente energia di cui l'uomo disponga. E' con la potenza del pensiero che noi possiamo affermare la nostra vera libertà. Per mezzo del pensiero noi possiamo prendere contatto con i mondi più elevati. Dal pensiero dipende tutta la nostra vita e il nostro destino. Dunque, ciò che rende l'esistenza umana pesante e travagliata è proprio l'uso errato del pensiero. Da qui la necessità di imparare a pensare bene, chiaramente, nettamente. Pensare bene è fonte di salute, di serenità, di benefici inestimabili nella vita. Pensare bene significa irradiare pensieri di luce anche a chi ci è vicino e proiettarne a chi è lontano. L'uomo, in buona sostanza, è tale quali sono i suoi pensieri. La qualità dei pensieri fa la qualità della nostra vita. Ma che vuol dire pensare bene? Pensare costruttivamente. E sono costruttivi i pensieri che suggeriscono energia, salute, amore, progresso, felicità, abbondanza, pace, spiritualità. In tale direzione, la mente va educata e disciplinata. La direzione del pensiero va corretta verso un pensare retto e positivo. La serenità, la gioia, la salute e lo stesso destino dipendono dalla direzione che si dà ai propri pensieri. Dunque, pensare rettamente è di estrema importanza. I pensieri che vanno trasmessi? Sono quelli di fiducia, di serenità, di ottimismo, di bene... sotto ogni aspetto.