Il Sud, in Italia, non esiste più. O, meglio, resiste solo come realtà geografica, ma ha inesorabilmente perduto la sua identità. Non è un caso, del resto, se la questione meridionale, ormai da
anni, sia stata cancellata dalle agende dei governi consociativi destra-sinistra-centro. Ma non è solo questo il problema. La più grave delle questioni è di natura etica ed è tutta interna al nostro
Mezzogiorno. E' quanto afferma Francesco Pungitore, giornalista e filosofo calabrese, autore del libro "Interviste sul Risorgimento" e protagonista, lo scorso 8 ottobre 2012, a Bologna, di un
partecipato Caffè filosofico.
Il problema, a mio avviso, è che il Sud, oggi, riflette se stesso attraverso uno specchio distorto. Si racconta, racconta di sé a se stesso e agli altri, propagandando una realtà
maldestra e falsa: o tutta retorica buonista o tutta retorica colpevolista. O figli e martiri dell'ingiusta unificazione forzata dei Piemontesi, o vittime impotenti di una criminalità impossibile da
contrastare. O condannati all'emigrazione da uno Stato e da una politica inefficienti, o passivi e rassegnati lacchè delle sanguinarie consorterie locali. Favole buone per il tritacarne mediatico,
alimentate dai tanti falsi intellettuali in perenne tournée estiva che, dietro lauto compenso, popolano le piazze dei nostri paesi e delle nostre città, celebrando se stessi e i propri sodali al
festival dell'aria fritta e dell'acqua calda, davanti a platee mute e plaudenti. La concretezza è bandita dal tavolo di questa presunta "cultura" alta e inaccessibile che fa di tutto per dimostrare
la grandezza dell'oratore e la bassezza dell'uditorio. Roba da nobili e plebei insomma. Alla faccia della Rivoluzione francese. E il Sud, in tutto questo, dov'è finito? Il Sud di quelli che restano
qui tutto l'anno, intendo dire, e che magari sono così testardi da illudersi di poter crescere ancora dei figli e una famiglia nell'ultima terra più emarginata e depressa d'Europa. Di queste cose,
però, nelle piazze e sui palchi si parla poco. Si parla poco dei concretissimi e ben noti sistemi di potere che strangolano l'economia e garantiscono la sussistenza di piccoli club elitari, con il
loro codazzo di servi e clienti, al cui interno i confini tra politica, mafia, imprenditoria e business di vario genere, più o meno leciti, si confondono drammaticamente.
E' pur vero, però, che le questioni del lavoro e le problematiche di natura economica sono spesso al centro di numerosi convegni e iniziative pubbliche. E, più di recente, la complessità della
questione meridionale è stata ricollocata anche da autorevoli storici nel più ampio contesto della unificazione "sbagliata" o "forzata" del 1860...
Ma parlare di lavoro e di economia non significa necessariamente agire per il lavoro e l'economia. Anzi. Se per ogni convegno sul lavoro si fosse messo da parte un euro per il Sud, adesso
vanteremmo crediti come la Svizzera. Se poi a parlare di questioni così decisive ritroviamo sempre i soliti noti, la cui scarsa propensione al lavoro è cosa risaputa, il quadro è completo. Quanto
alla seconda questione, quella della unificazione "forzata" del Sud, ci sono chiaramente vicende storiche ormai acclarate che ci consentono di rivedere con occhio critico e oggettivo quanto accaduto
nella fase risorgimentale. Quello che mi preoccupa, però, adesso non è tanto il passato, quanto il presente e il futuro. Dietro queste rivendicazioni pseudoborboniche vedo l'ennesimo mascheramento di
colpe e responsabilità tutte nostre, tutte interne al nostro Meridione. Il Risorgimento è acqua passata, i fondi europei che non riusciamo a spendere, e rispediamo al mittente per nostre incapacità
gestionali o politiche, sono un problema di oggi che non vogliamo affrontare e vedere. Le strade in cattivo stato di manutenzione, non sono state bombardate da Garibaldi. L'atteggiamento pigro e
insolente della nostra burocrazia, non è frutto dello Statuto Albertino. La nostra classe dirigente collusa e parassitaria non è stata messa lì da Cavour, ma l'abbiamo votata noi. Però, ecco che
preferiamo nasconderci dietro un atteggiamento vittimistico, raccontandoci favolette stile Magna Graecia: quant'eravamo belli, quant'eravamo grandi... poi è arrivato il lupo cattivo (di volta in
volta, romano, barbaro, piemontese) e tutto è andato in rovina. Ma le responsabilità di quanto accade sono di oggi, non di ieri.
Ma i falsi intellettuali, allora, chi sono?
Ovunque ci sia un convegno, un seminario privo di concretezza, privo di una concreta visione dei problemi e delle possibili soluzioni per il nostro Mezzogiorno, lì si nasconde un falso
intellettuale che, spesso, è anche riconoscibile perché accompagnato da una folla supina e plaudente. La colpa di questi falsi intellettuali, dall'atteggiamento baronale e dalle frasi ampollose e
astratte, è ancora più grave perché il loro racconto diventa un ritornello ipnotico, ottunde le menti, ci fa perdere di vista la realtà. Sono loro i primi responsabili e complici del disastro morale,
oltre che economico e sociale, che investe il Sud, oggi.