di Francesco Pungitore*
Quando ChatGPT ha raggiunto il miliardo di utenti mensili, in molti hanno pensato che la rivoluzione fosse compiuta. In realtà, era appena iniziata. Perché il vero salto di qualità non sta nell'avere accesso all'intelligenza artificiale, ma nel saperla usare. E questo passa da una competenza apparentemente banale, ma in realtà cruciale: saper scrivere un buon prompt.
Il prompt – l'istruzione che diamo al modello linguistico – è l'interfaccia invisibile tra uomo e macchina. È la frase che digitate, la domanda che ponete, il comando che impartite. Ma è anche molto di più: è il linguaggio del potere nell'era dell'IA. Chi sa formulare prompt efficaci ottiene risultati precisi, velocemente. Chi non lo sa, spreca tempo e si ritrova con risposte vaghe, inutili, generiche.
E in azienda, dove il tempo è denaro e le decisioni hanno conseguenze, questo fa tutta la differenza del mondo.
L'illusione della semplicità
"Basta chiedere" è il mantra ripetuto da tutti i vendor di intelligenza artificiale. Ed è vero: l'interfaccia è semplice, intuitiva, democratica. Ma questa semplicità nasconde una trappola.
Facciamo un esperimento. Chiedete a ChatGPT: "Scrivi un report sulle vendite". Cosa otterrete? Probabilmente un testo di 300 parole con dati inventati, struttura generica, tono impersonale. Ora provate così: "Sei il responsabile commerciale di una PMI manifatturiera italiana. Scrivi un report trimestrale sulle vendite del Q1 2025 per il CDA, evidenziando tre criticità e tre opportunità. Formato: tabella comparativa + analisi massimo 200 parole, tono professionale e diretto."
La differenza è abissale. Nel secondo caso, l'IA sa chi è, cosa deve fare e come deve farlo. Nel primo, improvvisa.
Questo è il punto di partenza: l'intelligenza artificiale non legge nella nostra mente. Non interpreta le sfumature. Non intuisce il contesto. Ha bisogno di istruzioni precise. E per darle, serve un metodo.
Anatomia di un prompt: oltre la domanda improvvisata
Nei miei corsi di formazione aziendale sull'intelligenza artificiale, la prima cosa che faccio è smontare l'idea che "basti chiedere". Non basta. O meglio: basta se vi accontentate di risposte mediocri.
Un prompt efficace non è una domanda. È un brief. È una mappa che guida il modello attraverso tre coordinate fondamentali: contesto, intento, risultato.
Questa struttura – che chiamo modello CIR – trasforma una richiesta vaga in un'istruzione professionale. Vediamola nel dettaglio.
C come Contesto: dare un'identità all'IA
Il contesto risponde alla domanda: "Chi deve essere l'IA in questa conversazione?"
Non è un vezzo. Non è un gioco di ruolo. È un modo per orientare il modello verso un registro linguistico, un bagaglio di conoscenze, una prospettiva.
Esempio: "Sei un consulente aziendale senior che analizza processi produttivi in PMI italiane del settore meccanico."
Quando specificate un contesto, state dicendo all'IA: "In questa conversazione, ragiona come ragionarebbe un esperto di questo settore, con questo tipo di esperienza, con questo punto di vista".
Se scrivete "sei un ingegnere gestionale", otterrete risposte diverse rispetto a "sei un commercialista" o "sei un responsabile HR". Perché ogni ruolo porta con sé un modo diverso di leggere i problemi, di prioritizzare le soluzioni, di comunicare le conclusioni.
Il contesto è la bussola del prompt. Senza, l'IA naviga a vista.
I come Intento: definire l'obiettivo
L'intento risponde alla domanda: "Cosa voglio ottenere?"
Non basta dire "analizza questo". Bisogna specificare: voglio confrontare opzioni? Identificare inefficienze? Generare idee? Ottimizzare un processo? Verificare la conformità normativa? Sintetizzare informazioni complesse?
L'intento è il cuore della richiesta. È ciò che trasforma una conversazione generica in un'operazione mirata.
Esempio: "Devi capire dove stiamo sprecando tempo e risorse nel nostro reparto logistico."
Notate la differenza rispetto a: "Parlami del nostro reparto logistico". Nel primo caso, l'IA sa che deve cercare inefficienze. Nel secondo, potrebbe parlarvi di storia, organizzazione, best practice, dimensioni… tutto e niente.
R come Risultato atteso: scegliere il formato
Il risultato atteso risponde alla domanda: "Come deve essere presentata la risposta?"
Formato, lunghezza, tono, stile. Tutto conta.
Volete un elenco puntato? Una tabella comparativa? Un testo narrativo? Un report formale? Un messaggio WhatsApp? Un documento pronto per la stampa?
Esempio: "Fornisci un elenco delle tre principali inefficienze, i rischi associati e tre azioni correttive. Massimo 150 parole, tono diretto."
Il risultato atteso è il contenitore. E come sanno bene designer e chef, il contenitore influenza la percezione del contenuto. Un'analisi brillante presentata male perde metà del suo valore. Un'analisi mediocre presentata bene guadagna credibilità.
Il prompt come strumento di governance aziendale
Fin qui, il metodo base. Ma in contesti professionali – aziende, enti pubblici, studi professionali – serve qualcosa in più. Serve la capacità di governare la conversazione con l'IA, non solo di subirla.
Nei miei corsi, insegno tre strategie avanzate che trasformano un buon prompt in un prompt eccellente. Sono accorgimenti che rispondono a tre problemi strutturali dei modelli linguistici: la diplomazia eccessiva, l'opacità del ragionamento e la tendenza a colmare le lacune con supposizioni.
Strategia 1: richiedere onestà brutale
I modelli linguistici hanno un difetto: sono troppo accondiscendenti. Per non urtare la sensibilità dell'utente, tendono a produrre risposte equilibrate, diplomatiche, piene di "forse", "potrebbe", "in alcuni casi".
Il risultato? Analisi poco incisive, consigli vaghi, problemi mascherati.
In azienda, questo è un disastro. Se un processo spreca 15.000 euro all'anno, non voglio sentirmi dire che "potrebbe beneficiare di ottimizzazioni". Voglio sentirmi dire: "Questo processo spreca 4 ore al giorno per mancanza di automazione. Costo: 15.000 euro/anno."
La soluzione è aggiungere al prompt: "Sii schietto e brutalmente onesto. Non usare giri di parole."
Questo accorgimento spinge l'IA a evidenziare criticità senza filtri. E il risultato è un'analisi più utile, più diretta, più orientata all'azione.
Caso reale
Un manager mi ha mostrato questo prompt: "Analizza il nostro processo di gestione fornitori e dimmi se ci sono problemi."
Risposta dell'IA: "Il processo appare generalmente ben strutturato, anche se alcune aree potrebbero beneficiare di un'ottimizzazione nella comunicazione interfunzionale."
Dopo aver aggiunto "sii schietto e brutalmente onesto", stessa domanda:
"Il processo spreca 12 ore/settimana in email ridondanti tra ufficio acquisti e magazzino perché non esiste un sistema condiviso di tracking degli ordini. Il 60% delle richieste di chiarimento riguarda informazioni già presenti in documenti cartacei non digitalizzati. Costo stimato: 18.000 euro/anno solo in ore lavoro."
Questa è la differenza tra una risposta diplomatica e una risposta utile.
Strategia 2: pretendere trasparenza del ragionamento
La seconda strategia è quella che chiamo chain of thought esplicita, letteralmente "catena di pensiero".
Quando scriviamo nel prompt: "Prima di rispondere, guidami passo passo attraverso il ragionamento che fai", otteniamo qualcosa di prezioso: la trasparenza del processo logico.
Perché è cruciale? Perché in contesti professionali non basta avere una risposta. Bisogna poterla verificare, tracciare, auditare.
Se l'IA vi dice "il fornitore A è migliore del fornitore B", voi dovete sapere:
Senza trasparenza, la risposta dell'IA è una scatola nera. E le scatole nere non sono accettabili quando si prendono decisioni che impattano su persone, budget, strategie.
Esempio pratico
Supponiamo di dover scegliere tra tre fornitori di materie prime.
Prompt senza chain of thought: "Confronta questi tre fornitori e dimmi quale scegliere."
Risposta:
"Consiglio il fornitore A per il miglior rapporto qualità-prezzo."
Fine. Ma su quali basi? Quali dati? Quali priorità?
Prompt con chain of thought: "Confronta questi tre fornitori e dimmi quale scegliere. Prima di rispondere, guidami passo passo attraverso il ragionamento che fai."
Risposta:
"Ho strutturato l'analisi in cinque fasi:
Ora la decisione è tracciabile. Se tra sei mesi qualcosa va storto, potete ricostruire il ragionamento e capire cosa non ha funzionato. Potete verificare se le assunzioni erano corrette. Potete difendere la scelta di fronte al CDA.
Questa è governance.
Strategia 3: esigere chiarimenti, non supposizioni
La terza strategia riguarda la gestione dell'ambiguità.
Uno degli errori più comuni quando si dialoga con l'IA è dare per scontato che tutto sia chiaro. In realtà, l'IA tende a colmare automaticamente le lacune con supposizioni plausibili ma non necessariamente corrette.
La soluzione è aggiungere: "Se qualcosa non ti è chiaro, chiedi pure. Non fare supposizioni."
Questo trasforma la conversazione da un monologo a un dialogo chiarificatore.
Caso concreto
Immaginate di chiedere: "Analizza il nostro reparto logistico e proponi miglioramenti."
Senza la richiesta di chiarimento, l'IA assume che "reparto logistico" significhi "magazzino + spedizioni", ma magari voi intendete anche gestione ordini, pianificazione trasporti, gestione resi, interfaccia con i corrieri esterni.
Con la richiesta: "Prima di procedere: per 'reparto logistico' intendi solo magazzino e spedizioni in uscita, o anche gestione ordini, pianificazione trasporti e gestione resi? E quando parli di 'miglioramenti', ti riferisci a riduzione costi, velocità, qualità del servizio o tutti e tre?"
Risultato: meno errori nascosti, più precisione, meno rilavorazioni, maggiore allineamento.
Un prompt professionale: il metodo completo
Vediamo ora come integrare tutti gli elementi in un unico prompt di livello professionale.
Scenario: la vostra azienda ha problemi ricorrenti nelle consegne ai clienti. Ritardi, errori, lamentele. Sospettate inefficienze nella gestione del magazzino, nella comunicazione tra reparti e nel time-tracking delle attività.
Prompt completo:
"Sei un consulente aziendale senior specializzato in ottimizzazione dei processi interni per PMI manifatturiere italiane con focus su logistica e supply chain. Hai 15 anni di esperienza in progetti di lean management.
Il tuo compito è analizzare il nostro flusso di gestione magazzino e consegne ai clienti. Negli ultimi 3 mesi abbiamo registrato ritardi nel 23% delle consegne e 12 reclami per errori di spedizione. Individua le tre inefficienze principali che potrebbero causare questi problemi e proponi soluzioni concrete implementabili entro 60 giorni con budget massimo di 10.000 euro.
Fornisci il risultato in formato tabella con tre colonne: Inefficienza | Impatto stimato | Soluzione proposta. Sotto la tabella, aggiungi un paragrafo di massimo 100 parole con la priorità di intervento. Tono diretto e professionale.
*IMPORTANTE:
Questo non è più un semplice prompt. È un brief operativo. E la risposta sarà all'altezza.
Il prompt come competenza trasversale
La bellezza del metodo CIR è che funziona ovunque. ChatGPT, Gemini, Claude, Copilot, qualsiasi assistente integrato nell'ERP aziendale: cambiano le interfacce, ma la logica resta identica.
Quando imparate a strutturare prompt efficaci, non state semplicemente "imparando a usare ChatGPT". State acquisendo una competenza trasversale che vale su tutti i modelli linguistici presenti e futuri.
È come imparare a guidare: una volta capito il principio, potete guidare qualsiasi automobile. Cambiano i comandi, ma il concetto di sterzo, freno e acceleratore resta lo stesso.
Nei miei corsi, insisto molto su questo punto: non insegno "come usare ChatGPT". Insegno come dialogare con l'intelligenza artificiale. La differenza è sostanziale.
L'analfabetismo funzionale dell'era IA
Ma c'è un rovescio della medaglia. L'accessibilità dell'IA generativa ha creato una nuova forma di analfabetismo funzionale: quella di chi crede che basti digitare una domanda qualsiasi per ottenere risposte professionali.
Il risultato? Report aziendali generici copiati da ChatGPT senza verifica. Analisi superficiali presentate come strategiche. Decisioni prese su basi fragili. L'IA diventa un generatore di rumore, invece che uno strumento di valore.
Ho visto presentazioni aziendali dove era evidente che il testo proveniva da un prompt improvvisato: frasi generiche, dati inventati, conclusioni scontate. Il problema non è l'IA. È l'utente che non sa come usarla.
È come dare un bisturi a chiunque e aspettarsi che diventi chirurgo. Lo strumento non basta. Serve competenza.
Oltre il prompt: verso agenti e automazioni
Il prompt è il presente. Ma il futuro va già oltre.
Stiamo assistendo all'emergere di agenti autonomi: intelligenze artificiali che non si limitano a rispondere a domande, ma che comprendono obiettivi complessi e decidono autonomamente quali azioni intraprendere per raggiungerli.
La differenza è sostanziale:
Strumenti come Operator, Genspark, Manus stanno già trasformando il concetto stesso di assistente digitale. Non più esecutori di comandi, ma collaboratori autonomi.
E qui il prompt diventa ancora più cruciale: non stiamo più dando istruzioni puntuali, ma stiamo programmando comportamenti. Il margine di errore si amplifica. La necessità di precisione si moltiplica.
La multimodalità: quando tutto diventa prompt
Un'altra evoluzione in corso è la multimodalità: la convergenza di testo, immagini, video, audio, dati in un'unica interfaccia intelligente.
Piattaforme come Canva stanno diventando ambienti multimodali completi: scrivete un prompt testuale e ottenete immagini, video, presentazioni, grafici, tutto integrato e personalizzabile.
E anche qui, il metodo resta lo stesso. Che chiediate un testo, un'immagine o un video, la struttura del prompt non cambia: contesto, intento, risultato.
"Crea un'immagine per Instagram che promuova il nostro nuovo prodotto eco-friendly, stile minimal scandinavo, colori pastello, focus sul packaging sostenibile" – è un prompt CIR applicato alla generazione visiva.
Il linguaggio cambia (in questo caso, aggiungiamo indicazioni stilistiche specifiche per le immagini), ma il metodo resta identico.
Il vero divario digitale del futuro
Gli Stati Uniti hanno investito nel 2024 oltre 109 miliardi di dollari in intelligenza artificiale. Il progetto Stargate prevede 500 miliardi entro il 2029. La Cina destina 100 miliardi al settore IA nel suo Piano Quinquennale.
Ma il vero investimento non è nelle GPU, nei data center, nei modelli linguistici. È nella formazione.
Perché la tecnologia è accessibile a tutti. ChatGPT costa 20 euro al mese. Gemini è gratuito. Claude offre piani per professionisti. L'accesso non è il problema.
Il problema è la competenza d'uso.
Il vero divario digitale del futuro non sarà tra chi ha accesso all'IA e chi non ce l'ha. Sarà tra chi sa formulare prompt efficaci e chi improvvisa. Tra chi governa la tecnologia e chi la subisce.
Conclusione: il prompt è potere
In un mondo dove miliardi di persone hanno accesso agli stessi strumenti di intelligenza artificiale, la differenza la fa la capacità di comunicare con quei strumenti.
Il prompt non è un dettaglio tecnico. È un'interfaccia di potere.
Chi padroneggia il linguaggio dell'IA ottiene risposte precise, verificabili, utili. Chi lo improvvisa ottiene rumore.
La domanda, allora, non è più "hai accesso all'intelligenza artificiale?", ma: "Sai come parlarle?"
E la risposta a questa domanda determinerà chi prospererà nell'economia dell'IA e chi resterà indietro.
Il metodo CIR – Contesto, Intento, Risultato – arricchito dalle tre strategie avanzate (onestà, trasparenza, chiarimento) non è solo una tecnica. È una competenza strategica.
È il nuovo alfabeto del lavoro digitale.
E come ogni alfabeto, va imparato, praticato, padroneggiato.
Il futuro non appartiene a chi ha accesso alla tecnologia. Appartiene a chi sa come usarla.
*L'autore è docente, giornalista professionista e formatore esperto di intelligenza artificiale
di Francesco Pungitore
La comunicazione è una cosa seria. Lo dico e lo ripeto a me stesso ma, anche e soprattutto, mi rivolgo a chi deve farci i conti quotidianamente nella propria azienda, nella professione, in politica. E non è una frase così scontata come banalmente potrebbe sembrare, in apparenza. Anzi. Una buona comunicazione, ad esempio, governa efficacemente i rapporti all'interno di una qualsivoglia organizzazione complessa, ma ne delinea anche la corretta proiezione all'esterno. Su questo, penso, siamo tutti d'accordo. Fissato questo punto fermo, andiamo, però, ad analizzare cosa sta accadendo, oggi, nell'oceano vasto e complesso dei media (anche social) con cui siamo chiamati ad interagire per rendere veramente efficace il nostro comunicare, che altro non è se non l'arte del parlare e dello scrivere.
Comunicazione e social media
Un primo pregiudizio da confutare è proprio quello relativo al presunto “condizionamento peggiorativo” che le nuove tecnologie avrebbero introdotto nelle relazioni umane e, giocoforza, anche nell'uso dei mezzi di comunicazione. Partiamo da un presupposto molto chiaro: le tecnologie non sono che strumenti, ideati per migliorare la qualità della nostra vita, non certo per peggiorarla. Altro discorso è quello relativo all'uso che se ne fa e, in modo particolare, al cattivo uso, determinato, a mio avviso, solo e soltanto da una scarsa “alfabetizzazione” generale e di base. Molto spesso, insomma, ci mancano i “fondamentali”, ovvero la conoscenza del classico manuale d'istruzioni. Ma tutto questo, peraltro, non cambia nulla rispetto al concetto iniziale: la comunicazione è e rimane una cosa seria, a prescindere dal fatto che essa, oggi, non prediliga più soltanto i binari preferenziali e classici della carta stampata o della televisione, ma si disperda sulle tante piattaforme informatiche che sfociano nel grande mare di internet. Certo, lo scenario di riferimento è cambiato. E' ovvio. Occorre acquisire competenze di “navigazione” prima non necessarie. E su questo siamo ancora d'accordo. Però, cos'è cambiato rispetto alle domande originarie, quasi primitive, che formavano il vocabolario del bravo comunicatore d'un tempo? La risposta è: nulla! Tutto è cambiato, ma nulla è cambiato.
Content is king!
C'è una frase un po' abusata che, in ogni caso, spiega bene questo passaggio: “Content is king”. E' proprio così. La verità è che, sia che parliamo di web che di giornali stampati in rotativa, la qualità del contenuto è e rimane la cosa più importante, il dato sostanziale. Anche oggi, come cinquanta anni fa, vince il lavoro di qualità, sia esso pubblicato su Facebook o in un blog, su un libro o in televisione. E la qualità di cui ragioniamo ha esattamente due fuochi centrali: la buona conoscenza dell'argomento trattato e la definizione precisa del pubblico di riferimento.
Da Platone a... Kotler
Sarà un retaggio scolastico, ma non posso fare a meno di pensare che nel lontano 400 a. C. gran parte dei problemi di comunicazione che oggi ci appassionano e animano i nostri dibattiti, molto spesso ripieni di pedanti e inutili citazioni in inglese, fossero già stati dipanati dal vertice più alto della filosofia greca: Platone. Una buona lettura del “Gorgia” e del “Fedro” potrebbe risultare molto utile, lì dove, ad esempio, si enunciano le regole dello scrivere in modo corretto, ovvero l'essenza dell'arte del comunicare. Non mi riferisco qui alle tecniche, allo stile, alla struttura e all'articolazione che Platone categorizza, assegnando ruoli precisi agli elementi di base di un testo, quanto piuttosto a due concetti molto importanti racchiusi in altrettante frasi del grande filosofo. La prima afferma: “Se uno vuole trasmettere discorsi fatti con arte a qualcuno, dovrà dimostrare con precisione l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i suoi discorsi: e questo sarà l'anima” [Fedro, 270 E]. In altre parole, Platone dice: occorre che chi parla e scrive conosca l'anima degli uomini a cui si rivolge. Inoltre, dovrà rendersi conto che “l'anima è multiforme e quindi prendere atto delle varie forme in cui l'anima si articola” [Giovanni Reale - Storia della filosofia greca e romana - Bompiani - pag. 333]. La seconda frase di Platone, sempre tratta dal Fedro spiega: “Bisogna che uno sappia il vero di ciascuna delle cose sulle quali parla e scrive, e sia in grado di definire ogni cosa in se stessa” [Fedro, 277 B-C]. Questi sono esattamente i due fuochi precedentemente citati e le basi della comunicazione più moderna che ci sia, che Philip Kotler scandisce nel suo best-seller mondiale “Marketing 4.0” [Hoepli]. Platone spiega che per comunicare efficacemente occorre, innanzitutto, conoscere l'essenza della cosa di cui si parla (concetto che richiama l'idea della qualità del contenuto). Inoltre, occorre conoscere anche le “anime” a cui ci si rivolge e cioè le persone in funzione delle quali vengono “costruiti” i discorsi. Quanto e cosa c'è di diverso rispetto alla lezione di Kotler sulla transizione dall'awareness all'advocacy?
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Alberto Puliafito “Dal giornalismo al Digital Content Management” - CDG
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Come può, la filosofia, diventare pratica? Innanzitutto con la sua azione comunicativa. La filosofia, quella vera, radicata nelle sue origini più antiche, apre gli orizzonti della mente, problematizza e risolve, riannoda e scioglie. In una parola sola: libera. Non parliamo qui, chiaramente, della filosofia fredda e astratta imparata a scuola. Non parliamo della filosofia esercitata dai funzionari del pensiero seduti in cattedra e ingabbiati nel loro ruolo cadaverico di amministratori delle teorie. La filosofia che davvero ci interessa è quella che, nelle età più remote, richiamava la simbolica forma di una chiave: una chiave che apre tutte le porte, perché mostra senza filtri tutti i limiti del nostro pensare ovvio e abituale. Non reprime le domande, anzi mette in discussione proprio tutto ciò che è ovvio. Questa filosofia delle origini, che è anche filosofia del presente e del futuro, mette a nudo e combatte tutto ciò toglie colore alla nostra esistenza, tutto ciò che spegne la nostra creatività, tutto ciò che opprime i nostri impulsi vitali. Quanti pensano, oggi, di vivere vite senza via d'uscita? Quanti si sentono oppressi, frustrati? Sono destini bloccati, nei cui confronti si può dispiegare positivamente l'azione liberatrice della filosofia. La filosofia riapre le possibilità dell'esistenza, indica nuove rotte, ridona speranza. Perché sa andare oltre.